Fino alla metà del secolo scorso, nel mese di ottobre, i contadini abbacchiavano i ricci ancora verdi con una pertica lunga da 4 a 6 metri, ricavata da un germoglio del castagno stesso, non innestato, e lasciato crescere per questo scopo.
Vi erano persone cui era affidato questo incarico, che erano generalmente persone del luogo (dizbatour o basoulòou) oppure bisognava assumere gli “abbacchiatori”, persone esperte che aiutavano i coltivatori a ultimare la raccolta, in cambio di vitto, alloggio e qualche soldo. A S.Giorio venivano i basoulòou da Almese.
Poiché la maturazione dei marroni di uno stesso albero non è contemporanea, a volte si protraeva per un mese perciò “abbacchiare le piante” significava anticipare la caduta dei ricci chiusi così da concentrare la raccolta in un minor periodo di tempo.
L’abbacchiatura consisteva infatti nell’ utilizzare lunghe e pesanti pertiche di legno (perch, pèrcha o përchòt) con le quali i raccoglitori battevano i rami.
Poi salivano fino in cima ai castagni per far cadere i ricci rimasti e anche per potare i piccoli rami cresciuti, con un seghetto chiamato saracco che in genere tenevano legato dietro la schiena. Dopo la raccolta si procedeva alla potatura dei castagni utilizzando lunghe scale di legno, seghe a mano e falcetti (fousèt).
A tale scopo a volte si inserivano nel tronco delle piccole sporgenze in ferro (lingounòt), su cui poggiare i piedi durante l’arrampicata. I più abili dizbatour (o basoulòou), vestiti con pantaloni e maglie di pelle di montone in modo che i ricci non li pungessero, mettevano anche due pertiche tra le chiome di due castagni vicini e si spostavano da uno all’altro appesi ad esse.
La raccolta dei ricci a terra era compito delle donne, chiamate per l’occasione cuierin-e.
I ricci si raccoglievano con le pinze (bieusse o blùzës) in un lenzuolo (linsoel o fiouré) e trasportati con una grande gerla (garbissa, guerbin o gèrla) nei cortili delle case dove si preparava la ricciaia, detta arisè. Se invece il castagneto si trovava più in alta montagna (dove ora ci sono solo boschi incolti) i ricci venivano caricati sulla slitta (leza o lheutta) e portati in questo modo in paese.
In circa quindici giorni tutti i ricci venivano fatti cadere e portati nella ricciaia a maturare.
Qui venivano coperti con rami di abete bianco e veniva fatta la “curatura”, che serviva ad uccidere i parassiti e a prolungare la conservazione delle castagne.
Se il clima era secco, di tanto in tanto, si bagnavano per non far seccare le castagne all’interno del riccio.
Le castagne si raccoglievano a mano o con delle pinze in ferro o in legno di castagno per non doversi chinare ed evitare di pungersi. Da fine ottobre a fine novembre, dopo la raccolta delle castagne, bisognava anche occuparsi della pulizia del sottobosco perché il castagneto era un tappeto di foglie e di ricci.
I ricci venivano ammucchiati e bruciati sul posto; qualcuno li portava negli orti e nei campi come concime. I contadini rastrellavano le foglie con il rastrello (ratal o ratèl) e riempivano una coperta di canapa o di tela (fiouré) che caricata a spalle o sulla testa veniva portata nel fienile (fouiasé).
Se il tragitto, tra bosco e fienile, era lungo, le patinà (“lenzuolate”) si caricavano sulla lhètta o su carri trainati da asini o muli.
Molti anni fa, nelle stalle, si faceva il letto di foglie (paioun), oppure con le foglie si facevano i materassi (paiàse).
Passata una quindicina di giorni, dopo i Santi, gli uomini battevano sulla ricciaia in modo da separare le castagne dai ricci.
Nel frattempo le donne raccoglievano le castagne aiutandosi con una specie di martelletto in legno (picòt) o una specie di rastrello (vatoù o abatî) senza punte che si batteva sulla ricciaia.
Al termine della raccolta delle castagne, si portavano a casa i ricci vuoti e si facevano seccare come combustibile per l’inverno per bruciarli nelle stufe a legna, oppure si bruciavano direttamente nella ricciaia.
Quando tutte le castagne erano estratte si faceva la cernita dopo averle ammollate per un paio di giorni in catini colmi d’acqua per far salire a galla quelle guaste o rotte.
Venivano suddivise in diverse categorie e selezionate in base alla grandezza, nell’ultima scelta si mettevano anche quelle non della qualità marroni e si deponevano nei cesti (courbioun i più piccoli e courbéle, i più grandi) o nei sacchi (sac).
Le più grandi venivano vendute, mentre le medie e le piccole si tenevano per utilizzarle nelle ricette dei mesi invernali a costituire una componente importate della alimentazione. Agli animali, in particolare ai maiali venivano date da mangiare le castagne di scarto (i bòbou).
A questo punto arrivavano delle persone addette che passavano con un carretto per i viottoli del paese e compravano le castagne ad un prezzo adatto alla qualità ed alla quantità delle stesse.Le castagne venivano pesate (con il pèis) e alcune venivano anche aperte per controllare l’interno.
Le castagne di prima e seconda scelta si vendevano generalmente all’estero. Molto spesso questa vendita era l’unica fonte di guadagno della famiglia che poteva così permettersi l’acquisto di un paio di scarpe o di un abito nuovo. Un nonno ci racconta che intorno agli anni ’20 un signore di S.Giorio aveva delle conoscenze a Parigi. Ogni anno si selezionavano i marroni più belli raccolti in località Boarda e venivano inviati a Parigi.
Nelle pasticcerie delle vie parigine, facevano bella mostra i marrons glacés di Boarda.
La terza scelta restava ai coltivatori che le consumavano tutto l’anno e per alcuni erano una componente importante dell’alimentazione. Una nonna ci ha raccontato che quando da bambina andava a scuola si riempiva le tasche con le castagne e le succhiava strada facendo come oggi si fa con le caramelle.
Le castagne venivano messe a seccare nel solaio o sulle lobie, che erano i balconi in legno, poi si mettevano in un sacco di iuta che veniva sbattuto contro uno scalino per aprire la buccia della castagna.
Quando la buccia era rotta le castagne si mettevano in una specie di cesta (vàn) che si scuoteva finché il frutto non si liberava completamente della sua pelle, che veniva fatta cadere a terra.
Un’alternativa all’uso di questa cesta era mettere le castagne in un tronco di castagno tagliato e scavato (pèita) in cui si batteva con un particolare bastone anch’esso di legno terminante con dei chiodi (piteun).
La potatura invece si faceva già quasi tutta durante la sbattitura dei ricci ed eventuali altri rami venivano taglia-ti con la roncola o le cesoie.
Per trasportare a casa i rami più grossi si usava-no dei chiodi da piantare nel loro interno (chò), ad essi veniva legata una corda ed in questo modo si trascinavano a desti-nazione.
Il castagno andava poi curato. La pulizia del sottobosco è fondamentale per una buona raccolta: dove ci sono i castagni non possono essere coltivate altre piante.
A quel tempo non era quasi mai necessario tagliare l’erba sotto di esso perché quasi tutte le famiglie avevano una o più mucche che pascolavano tenendo pulito il terreno e contemporaneamente concimandolo.
Se l’erba era comunque troppa si tagliava con la falce (dài, messòira o vulam).
Era invece sempre necessario irrigare i castagni. L’acqua si prendeva dai torrenti attraverso una rete di canali e canaletti. Generalmente si organizzava un sistema di distribuzione dell’acqua affinché tutti potessero averne. I bialè erano tenuti costantemente puliti e solitamente non c’erano problemi di scarsità d’acqua. Si iniziava a bagnare i castagni nel mese di luglio, dopo S.Anna, quando era terminato il periodo della fioritura, così che non producessero castagne troppo numerose e piccole. Durante la nostra visita nel castagneto, un nonno ci ha mostrato dei castagni vecchissimi, tra cui uno di 200 anni. Ci ha mostrato i castagni potati e ci ha detto che i marroni sono molto preziosi; quindi anche se un castagno ha molti rami secchi, è meglio non abbatterlo, ma potarlo.
Altro lavoro invernale era il taglio delle piante più brutte o selvatiche. Quando gli alberi venivano potati o abbattuti, si usavano la sega (stroumpour) o l’ascia (piòla), i tronchi più grossi venivano accatastati sul posto o trasportati a casa o in falegnameria dove si ricavavano assi per la costruzione di mobili. Con i rametti più piccoli (tagliati con il fouseut) si facevano delle fascine (fasin-e).
Il legno dei castagni innestati e di quelli selvatici (brope) era utilizzato per la costruzione di molti oggetti: serramenti, mobili, pali per le vigne, recipienti per la cantina come botti e tini, scale a pioli.
La piòla e i cunh servivano per rendere i pezzi di legno di dimensioni utili per essere bruciati nelle stufe.
AVVERTENZE DI LETTURA Per gentile intervento del Prof. TELMON Tullio Ordinario Università di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Direttore del Dipartimento di Scienze del Linguaggio e Letterature Moderne e Comparate. Per leggere correttamente le parole dialettali (scritte in corsivo) contenute nel testo, si tengano presenti le seguenti semplici norme:
- La pronuncia di tutte le lettere alfabetiche corrisponde, in linea di massima, a quella dell’italiano.
- Uniche eccezioni, all’interno delle parole contenute nel testo e nell’ordine in cui esse vi si presentano, sono le seguenti:
- z Come nell’italiano rosa (diverso, come è facile sentire, dall’italiano insieme).
- ou Come nell’italiano muro o nel francese ours “orso”.
- ch Come nell’italiano ciao.
- è Vocale aperta, come nell’it. èrba o nel francese derrière “dietro”.
- é Vocale chiusa, come nell’italiano édera.
- ë Vocale muta, come quella del francese je “io”.
- ò Vocale aperta, come quella dell’italiano òggi.
- n- Nasale velare, tipica del torinese: cfr. tor. lun-a “luna”.
- eu Vocale turbata, come quella del francese coeur “cuore”.
- u Vocale turbata, come quella del francese lune “luna”.
- gu Davanti alle vocali e, i, ë, eu ha suono velare, come nell’italiano ghetto nel francese guerre “guerra”.
- lh Laterale palatale, come nell’italiano aglio.
- î Come la i italiana, ma allungata e accentata.
- nh Nasale palatale, come nell’italiano gnomo.
- Per quanto riguarda l’accento, esso cade, naturalmente, sulla vocale munita